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Scritto dal Dott. Alberto Russo

All’interno del mercato unico, la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ha evitato che il diritto al marchio potesse essere utilizzato per bloccare il flusso delle merci fra uno Stato membro e l’altro, sancendo il principio di esaurimento comunitario del diritto al marchio  (in Italia si veda l'art. 5, comma 1, del Codice Proprietà  Intellettuale).

La stessa Corte ha sancito inizialmente che l’esaurimento non si produce quando il marchio originariamente comune appartenga in Stati membri ad imprese fra loro del tutto indipendenti (casi “Hag II” del 1990 e “Ideal Standard” del 1994). L’effetto di esaurimento del diritto di marchio si produce solo per prodotti immessi in commercio nella Comunità/Unione con il marchio dal titolare stesso o con il suo consenso. Quando dunque lo stesso marchio appartenga  a due diverse imprese economicamente indipendenti in due Stati membri diversi, l’una può valersi del proprio diritto per impedire le importazioni di merci recanti il marchio in questione e provenienti dall’altra.

Il marchio invece non può essere usato per bloccare il flusso di importazioni parallele di merci contrassegnate da un certo marchio quando il titolare sia il medesimo o quando le imprese interessate siano legate da rapporti di gruppo o contrattuali (contratti di licenza). In questo caso la prima messa in commercio nell’Unione provoca l’esaurimento del diritto al marchio.

L'ordinamento prevede un'eccezione al citato principio di esaurimento che si verifica allorquando l’importatore (parallelo) modifica o altera lo stato dei prodotti dopo averli acquistati  (in questo caso è comunque possibile azione di contraffazione) oppure qualora il titolare del marchio possa dimostrare di avere un analogo legittimo motivo – es. differenze qualitative fra le due produzioni contrassegnate dallo stesso marchio.

La prospettiva e il regime di tutela cambiano, quando la controversia attiene la circolazione di marchi provenienti da fuori la “Fortezza Europa”: ovvero quando le importazioni parallele provengono da paesi extra-UE il principio di esaurimento può non trovare  applicazione (caso ricorrente con prodotti provenienti dall'Estremo Oriente).

Nonostante parte della dottrina critichi tale impostazione, la ratio principale alla base tesi negativa si basa sul fatto che oggi il marchio non ha solo una funzione meramente distintiva, bensì anche pubblicitaria – autonomamente tutelata.

Nell’assetto attuale si può ben argomentare che la protezione contro le importazioni parallele (provenienti da Stati terzi) sia di per sé giustificata, anche in assenza di ulteriori legittimi motivi, dall’esigenza stessa di preservare i  valori, pubblicitari e di marketing, incorporati nel segno.

La Corte di Giustizia (caso “Slihouette” del 1998) ha preso risolutamente posizione contro l’ammissibilità dell’esaurimento internazionale: il titolare di un marchio in uno Stato membro ben può opporsi all’importazione di prodotti che siano stati immessi in commercio fuori dall’Unione Europea dallo stesso titolare del marchio o con il suo consenso. La Corte ha pertanto asserito che la direttiva 2008/95 detterebbe una disciplina completa prevedendo l’esaurimento comunitario ed escludendo l’esaurimento internazionale. Successivamente i giudici di Lussemburgo hanno precisato che, nel caso di prima messa in commercio di un prodotto (su cui è apposto un determinato marchio) in uno Stato terzo il titolare può prestare il proprio consenso alla reimportazione in Europa, ma in tal caso, il consenso deve essere manifestato in modo univoco (caso “Davidoff I” del 2001).

 

Scritto dal Dott. Alberto Russo

In risposta alla problematica del c.d. "nanismo" delle PMI italiane - principale causa della loro difficoltosa competitività internazionale  -, il legislatore nazionale, tramite l'art. 3 del D.L. 5/2009 (novellato dall'art. 42 D.L. 78/2010 - convertito nella L. 30/07/2010 n. 122), ha messo a disposizione un nuovo strumento giuridico a favore dell'internazionalizzazione delle imprese: il contratto di rete.

Il contratto di rete, invero nato dal sempre attuale dibattito sul ruolo e sull'identità dei distretti industriali geografici, si pone come un poliedrico strumento di organizzazione e gestione della filiera produttiva o commerciale, consentendo alle imprese aderenti (le quali continuano a conservare la propria indipendenza patrimoniale e gestionale) di incrementare la propria capacità innovativa e la propria competitività sui mercati esteri attraverso un programma comune. Ciò permette alle PMI di muoversi con la forza di imprese medio-grandi, pur conservando le maggiori flessibilità, velocità di reazione al mercato e qualità produttiva tipiche delle aziende di ridotte dimensioni.

Con il contratto di rete, quindi, le parti si impegnano a collaborare operativamente attraverso lo scambio di informazioni di natura industriale, commerciale, tecnica e tecnologica: infatti si tratta di un negozio atto a disciplinare tanto l'ambito produttivo quanto  quello distributivo ovvero il cordinamento tra l'uno e l'altro. Le imprese, infatti, hanno facoltà di adottare programmi di produzione o di marketing e un marchio comune ovvero di realizzare siti web condivisi (su cui attivare vendite e-commerce) e software comuni per gestire la contabilità, le certificazioni, la documentazione doganale e quella relativa alle spedizioni ed ai trasporti internazionali. In particolare, il contratto in oggetto agevola la realizzazione di forme di coordinamento più efficaci all'interno delle filiere di sub-fornitura, riducendo così i rischi di dispersione delle risorse ed i costi del controllo.

Alla luce di queste considerazioni, il contratto di rete dovrà prevedere dettagliatamente i seguenti elementi: a) l'oggetto della cooperazione (es.: progetto di ricerca, di produzione o di vendita); b) un'accurata ripartizione del contributo di ciascuno degli aderenti alla rete; c) le penali o le sanzioni irrorabili in caso un singolo membro della rete non raggiunga gli obiettivi a lui affidati; d) l'identificazione del soggetto che si occuperà dell'elaborazione del servizio o progetto oggetto del contratto; e) i parametri di misurazione della redditività del progetto o servizio, il business plan, i tempi e le modalità di realizzazione; f)  l'identificazione del soggetto che coordinerà la rete ed i suoi poteri; g) le modalità non contenziose (mediazione) o contenziose (arbitrato) per la risoluzione delle controversie che dovessero insorgere tra i singoli membri della rete; h) le caratteristiche del fondo della rete di imprese.

Dal punto di vista pratico, un esempio di contratto di rete per operazioni di esplorazione di mercati esteri può ravvisarsi nella predisposizione - da parte di alcune PMI - di un progetto di partecipazione ad una fiera internazionale. In questo caso la rete potrà avere la funzione di organizzare la partecipazione all'evento fieristico e/o la predisposizione di una rete di intermediari (agenti o distributori), mentre i costi dei servizi relativi all'organizzazione dell'evento sarranno corrisposti attraverso il fondo della rete di imprese e solo successivamente riaddebitati alle singole imprese contraenti.


Scritto da: Dott. Abg. Erik Tornaboni

In caso di calamità naturale, come nelle ipotesi di alluvioni ed esondazione di fiumi verificatesi recentissimamente nello spezzino in seguito al maltempo, i danni ad attività ed imprese costituiscono, purtroppo, una delle ovvie conseguenze.

Nell’ipotesi di affitto di azienda, la cui disciplina è richiamata alle norme della locazione previste dal Codice Civile, la norma prima di riferimento è data dall’art. 1588, il quale stabilisce che “il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa che avvengono nel corso della locazione, anche se derivanti da incendio, qualora non provi che siano accaduti per causa a lui non imputabile”.

Naturalmente, consistendo l’affitto d’azienda un’ipotesi di locazione riferita, come è noto, ai locali ove si esercita l’attività di impresa, è pacifica l’attuazione dei principi di cui alla materia delle locazioni immobiliari, per la quale è il conduttore, in tal caso l’affittuario, che è tenuto al mantenimento in buono stato della cosa locatizia fatte salve ipotesi di caso fortuito o forza maggiore.

Il disastro naturale, che può costituire senz’altro un’ipotesi di forza maggiore, non esonera tuttavia di per sé stesso l’imprenditore che esercita in affitto d’azienda, il quale, comunque, deve dimostrare di aver adempiuto agli obblighi di custodia del bene affittato.

Questa è la linea espressa dalla giurisprudenza, che nella pronuncia della Suprema Corte di Cassazione del 17 dicembre 2010, n. 25644, ha stabilito che la presunzione di colpa a carico del conduttore resta in piedi fino a quando il conduttore affittuario non sia in grado di dimostrare di non aver potuto impedire il verificarsi del danno all’immobile.

Naturalmente, resta salvo, in caso di positivo accertamento di impossibilità del mantenimento in buono stato, il diritto della non corresponsione del canone di locazione, dietro l’ovvia restituzione del bene al legittimo proprietario, comportando la risoluzione del contratto (così, Cass., 22 agosto 2007, 17844)

Scritto da Dott. Luca Poli

Il Ministero della Giustizia ha diffuso i primi dati relativi alla mediazione. è opportuno sottolineare fin da subito che la rilevazione è stata effettuata su un periodo molto breve (dal 21 marzo 2011, giorno di entrata in vigore dell’obbligatorietà ex art. 5 D.Lgs. 28/2010, al 30 aprile 2011), e si basa su una proiezione effettuata con i dati di 170 organismi sui 259 interrogati.

Prima di tutto è importante osservare come in poco più di un mese siano state gestite, tra iniziali e iscritte, 5.894 domande di mediazione. Secondo la Direzione Generale di Statistica del Ministero, nel caso dovesse essere confermato questo trend, nei primi 12 mesi dovrebbero essere avviati circa 280.000 procedimenti. Quando la mediazione diverrà obbligatoria anche in materia di condominio e risarcimento danni da circolazione, ogni anno dovrebbero essere trattati oltre 600.000 tentativi di conciliazione.

Delle prime 5.894 mediazioni rilevate, 1.336 erano state definite mentre le altre 4558 risultavano ancora pendenti.

L’accordo è stato raggiunto nel 23% dei casi. Questo dato però tiene conto anche delle numerose volte in cui la controparte non ha voluto aderire al procedimento. Infatti, quando tutte le parti decidono di sedersi attorno a un tavolo per tentare la conciliazione, il tasso di successo sale al 70%.

Dai primi dati in possesso del Ministero il valore medio delle controversie è stato di circa 77.000 euro. Come si vede, quindi, non vengono trattate solo cause bagatellari.

Veniamo ora alla vexata quaestio della presenza dell’avvocato: in mancanza di tale obbligo il 73% dei proponenti la domanda si è fatto assistere da un avvocato, mentre solo il 26% degli aderenti si è presentato con il proprio legale di fiducia.

Come ho detto i dati si riferiscono a un periodo limitato di tempo, ciononostante questa prima rilevazione sembra confermare la validità della mediazione quale sistema alternativo di risoluzione delle controversie.


Scritto da Dott. Luca Poli

Il Ministero della Giustizia ha fatto sapere che fra pochi giorni sulla Gazzetta Ufficiale verrà pubblicato un decreto che avrà il compito di “correggere” il D.M. 180/2010 mediante il recepimento di alcune istanze degli operatori del settore.

Il testo definitivo non è stato ancora reso pubblico ma, tenuto conto di quanto indicato dall’Ufficio legislativo del Ministero e dai rilievi del Consiglio di Stato, le principali novità dovrebbero riguardare la formazione e le competenze dei mediatori, i costi del procedimento e la vigilanza.

Nello specifico, in base al nuovo decreto:

a) i neo-mediatori dovranno svolgere una sorta di tirocinio formativo che prevede la partecipazione ad almeno 20 procedimenti come co-mediatore prima di poter esercitare l’attività autonomamente;

b) i conciliatori ed i formatori già operativi beneficeranno di ulteriori 6 mesi di tempo per conformarsi alle nuove previsioni e, quindi, per confermare la loro abilitazione;

c) gli Organismi di mediazione dovranno indicare nei regolamenti i criteri di assegnazione delle controversie. Tali criteri dovranno tener conto dell’esperienza, della laurea e dei titoli professionali del mediatore.

d) la vigilanza sugli Organismi di mediazione e sugli enti di formazione verrà affidata all’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia;

e) nei procedimenti in “contumacia”, fermo restando l’obbligo della redazione del verbale, dovranno essere applicate delle tariffe minimali.

In ogni caso pare non sia stato inserito alcun riferimento alla presenza obbligatoria dell’avvocato. Bisognerà quindi attendere ancora un po’ per vedere questa importante modifica che il Ministro Alfano aveva promesso al Consiglio Nazionale Forense.

Come detto, queste sono delle indicazioni di massima e solo con la pubblicazione del testo definitivo sarà possibile verificare la reale portata delle correzioni al D.M. 180/2010. Inoltre, bisogna ricordare che la Consulta deve ancora pronunciarsi in merito alla legittimità della mediazione come causa di improcedibilità.

In conclusione, non ci resta che attendere i prossimi mesi quando dovrebbe delinearsi con maggiore chiarezza il futuro della mediazione.

 

Convenzioni

  • 09.02.12

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